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Trifolium repens repens L.
Trifoglio ladino

SISTEMATICA E TASSONOMIA
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida (Rosidae)
Ordine: Fabales
Famiglia: Fabaceae
Oltre alla sottospecie nominale, è presente in Italia (ma non in Emilia-Romagna) T. r. prostratum Nyman, che si distingue per peduncoli fiorali sempre pubescenti o irsuti, capolini con ± 20 fiori e corolla generalmente rosea.
Il trifoglio coltivato nei prati monofiti è diverso da quello spontaneo degli incolti e dei pascoli. Per la coltura intensiva si impiega infatti uno ecotipo selezionato nella Valle Padana, nelle zone del Cremonese e del Lodigiano caratterizzate da terreni alluvionali freschi e leggeri. È conosciuto anche come Trifoglio bianco gigante lodigiano, oppure ladino a foglie larghe, e si differenzia per le maggiori dimensioni degli organi vegetativi e riproduttivi. La selezione agronomica ha portato però questa varietà a mal sopportare la mancanza di adeguati livelli di umidità nel terreno.

CARATTERISTICHE
Pianta erbacea perenne e, se le condizioni di clima e di terreno lo consentono, la sua vita è praticamente illimitata in virtù della sua capacità di moltiplicarsi naturalmente per via vegetativa. Questa caratteristica e l’assenza di tomentosità su tutta la pianta costituiscono due elementi distintivi della specie.
La radice è fittonante, tipica delle leguminose, ma sono distinguibili due apparati radicali. Uno è quello primario, derivato dal seme, rappresentato da un fittone che, in appropriate condizioni di terreno, può approfondirsi anche notevolmente, mai, però, quanto quello del trifoglio pratense o della medica. Questo apparato radicale può persistere più o meno a lungo ma, generalmente, muore prima o durante il secondo anno di vita della pianta ed è sostituito dall’apparato radicale avventizio di tipo fascicolato che si origina dai nodi dei fusti striscianti (stoloni). Anche in questo caso sulla radice sono inseriti, per il lato più lungo, dei tubercoli di forma allungata dovuti all’attività del batterio simbionte specifico.
Gli steli, caratteristici di questa specie, sono pieni, più o meno robusti, con nodi ravvicinati nella parte basale ed hanno portamento strisciante. Dipartendosi a raggiera dallo stelo principale si accrescono mantenendosi aderenti alla superficie del suolo e, per tutta la loro lunghezza, emettono, ad ogni nodo, radici e foglie dalle cui gemme ascellari possono svilupparsi o infiorescenze oppure altri steli con portamento e comportamento analoghi a quelli descritti. Nel complesso non superano mai i 30 cm di altezza e formano vasti tappeti nei prati.
Le foglie, trifogliate, sono formate da foglioline obovate, a margine finemente seghettato, che si inseriscono per mezzo di un corto peduncolo su di un picciolo verticale molto lungo e tendono a disporsi con la lamina parallelamente alla superficie del terreno. La lunghezza del picciolo è variabile e oscilla fra i 5 ed i 20 cm anche se con tipi particolari ed in determinate condizioni può raggiungere i 30-50 cm. Anche il trifoglio ladino è caratterizzato dalla presenza di tipiche macchie biancastre a forma di Vsulle foglioline. La macchie possono essere di estensione variabile, fino a scomparire completamente, in dipendenza dell’azione di una serie allelica che ne condiziona, appunto, la presenza, l’ampiezza e la disposizione.
Le infiorescenze, non cosi numerose come nel trifoglio pratense, sono dei capolini che, prima della fecondazione, sono globosi e di colore variabile dal bianco al giallo paglierino ed al bianco rosato ognuno dei quali porta da 40 a 80 fiori. A fecondazione avvenuta i capolini diventano bruni, i peduncoli dei singoli fiori si reclinano verso il basso e fanno assumere all’infiorescenza un caratteristico aspetto ombrelliforme. Il fiore è quello tipico delle leguminose. La corolla si presenta con la parte prossimale tubuliforme ma è lunga all’incirca la metà di quella del trifoglio pratense consentendo cosi un più facile accesso agli insetti impollinanti. Il calice campanulato è percorso da 10 nervature, diviso in 5 denti appuntiti (2 lunghi e 3 corti) he raggiungono la base del vessillo, è lungo quanto metà della corolla. La corolla papilionacea racchiude 10 stami, di cui 9 con filamenti saldati, mentre l’ovario, supero, contiene numerosi ovuli, solamente alcuni dei quali - da due a quattro - si sviluppano in semi.
Questi sono riuniti in un baccello che, giunto a maturazione, deisce. Il seme è cuoriforme, con radichetta molto pronunciata. E di colore variabile dal giallo al rossastro e perde di brillantezza mano a mano che invecchia assumendo anche una colorazione rosso bruna. Le sue dimensioni sono variabili a seconda dei tipi, ma sempre molto ridotte. Il peso di 1.000 semi è pari a 0,65-0,75 g e un grammo ne contiene circa 1.500.
Nel trifoglio ladino, ed in particolare nei tipi selvatici, la percentuale di semi duri è molto elevata e può raggiungere livelli del 25-40%. Poiché i semi duri passano attraverso l’apparato digerente degli animali, essi costituiscono un notevole mezzo di dispersione della specie.
L’agente impollinante abituale è l’ape (Apis mellifera L.), ma altre specie possono svolgere altrettanto bene la medesima funzione.
Il trifoglio ladino è praticamente autosterile ma, sottoposto ad autofecondazione, dà seme con maggior frequenza del trifoglio pratense.
Il ciclo biologico del trifoglio ladino, nonostante le affinità con quello delle altre leguminose da foraggio, è abbastanza atipico ed è caratterizzato da alcune peculiarità. Completata in 6-8 giorni la germinazione con l’emissione delle foglie cotiledonari, si ha l’emissione della prima fogliolina unifogliata e, successivamente, della prima foglia trifogliata. Dalla gemma apicale inizia allora a svilupparsi il fusto primario che è piuttosto corto e, specialmente nella prima porzione, presenta nodi piuttosto ravvicinati su ognuno dei quali è inserita una foglia. Dopo 6-8 settimane dall’emergenza, dalle gemme ascellari del fusto primario iniziano a svilupparsi dei fusti secondari (stoloni o, con termine pratico, catene) i quali si allungano rapidamente. A questo punto l’allungamento del fusto primario cessa o viene di molto rallentato. Gli stoloni, a differenza del fusto primario, hanno internodi allungati ed una gemma apicale che rimane allo stato vegetativo. Dai nodi, in posizione alterna, prendono origine le foglie, una per ogni nodo, la cui vita media, dalla germogliazione della gemma allo stato di senescenza, è, in condizioni favorevoli, di circa 40 giorni. All’ascella di ciascuna foglia vi è una gemma la quale può rimanere dormiente oppure svilupparsi o in un’infiorescenza o in uno stolone. Parallelamente, da ciascun nodo vengono emesse delle radici avventizie le quali, una volta che l’apparato radicale primario cessi la sua attività, cosa che avviene entro il secondo anno di vita della pianta, costituiscono l’apparato radicale da cui dipende la sopravvivenza della pianta stessa. Contemporaneamente a quella della radice si verifica anche la morte del fusto primario cosicché ciascun stolone secondario assume una propria indipendenza e diviene un centro di vegetazione a sé stante da cui si originano nuovi stoloni che, estendendosi sul terreno, hanno la duplice funzione di espandere la vegetazione e di prolungare la vita della pianta e, quindi, la durata della coltura. Stante questo modo di vegetare, è allora evidente che, oltre che dall’efficienza dell’apparato radicale secondario, la perennità della pianta dipende dalla quota di gemme ascellari che si sviluppano in stoloni piuttosto che in infiorescenze. L’entrata in fioritura dipende da vari fattori tra i quali, di maggiore importanza sono il genotipo, l’età, il grado di sviluppo della pianta, la temperatura ed il fotoperiodo. La fioritura è favorita da fotoperiodo lungo, temperature abbastanza elevate e bassa umidità atmosferica, in particolar modo quando queste condizioni fanno seguito ad un periodo di giorno breve e di basse temperature. Diversamente, temperature molto elevate e giorno breve riducono notevolmente la fioritura e l’allegagione. Anche le infiorescenze sono portate da lunghi peduncoli, solitamente più lunghi dei piccioli delle foglie, con portamento verticale.
Ch rept - H rept
Antesi: aprile÷novembre

COROLOGIA E DISTRIBUZIONE GENERALE
Eurasiatiche in senso lato, che ricompaiono anche nel Nordafrica.
Subcosmop. - In quasi tutte le zone del mondo, ma con lacune importanti.
Ditribuzione in Italia: la sottospecie nominale viene segnalata in quasi tutte le regioni, ad eccezione di Puglia e Sardegna.

DISTRIBUZIONE E HABITAT IN EMILIA-ROMAGNA
Comune lungo le strade campestri, al margine dei boschi, nei prati.

SEGNALAZIONI NELL'OASI
DATA STAZIONE RILEVATORE NOTE
09/06/2013 Prati incolti in libera evoluzione lungo sentiero Sirotti Maurizio Visita addestramemento flora spontanea

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